Fotografie: Paolo Burato | Didascalie: Eleonora Boscariol
Una ricerca per immagini nei Magredi, “terre magre” della pianura friulana occidentale dove l’acqua lascia spazio ai claps (sassi, in friulano), agli arbusti e al passaggio distratto dell’essere umano. Dietro ogni rifiuto, una storia che scava nella steppa e nella coscienza collettiva.
Andrea e Dario siedono un po’ sbronzi sul greto del fiume. Il sole di metà maggio già spinge sulle loro teste. Finirà la scuola prima o poi. Tanto in quel cazzo d’istituto professionale figa non se ne vede manco col binocolo, e poi esci col diploma fresco di stampa e di timbri e sei solo lo sfigato che è andato all’IPSIA perché non c’aveva voglia di studiare. Nessuno ti caga. Il futuro non c’è. Oggi alla terza ora quello di matematica ha interrogato, è andata dimmerda, secondo i piani. Subito dopo la scuola si sono comprati un trio di Castello La Decisa e sono andati coi motorini nei Magredi a fumarsi le canne. La vita fa schifo come la steppa friulana nell’ora più calda dopo un purino, quando ti batte il sole negli occhi, allora li chiudi. E quando li riapri vedi tutto bianco e ti ci vuole un po’ per mettere a fuoco. Quando hai messo a fuoco, fa ancora schifo, come prima.
Le mogli in menopausa sono Satana. Satana in uno dei suoi momenti peggiori, si intende. Eugenio voleva stare sul divano ma l’ha portata a prendere il sole in grava, a quella stronza, per farla stare buona. Come non bastasse ha messo giù i materassini con cura, altrimenti ti entrano le pietre nel culo e torni a casa con la sciatica, ormai hanno un’età, lui e Satana. Poi ha gonfiato i cuscinetti portatili della Quechua, che invenzione. Pensando di aver ormai fatto il suo e anche di più, ha tirato fuori la Gazzetta dello Sport appena comprata e si è acceso la Marlboro rossa delle dieci e trenta, quella che prepara la gola alla Marlboro rossa delle dieci e trentotto. A quel punto la stronza ha iniziato a spaccare il cazzo. Fa caldo, sudo, non si respira, e il materassino è rotto, Eugenio, non vedi? Sei sempre il solito, hai preso quello vecchio, quello che ti avevo detto di buttare via l’estate scorsa. Ma tanto a te, ti entra da un orecchio e ti esce dall’altro. Eugenio bestemmia flebile verso la steppa aspirando catrame. Sogna il divano e il Daikin sparato a diciotto gradi sui coglioni. Spalma un po’ di crema qua che non ci arrivo, chiede Satana ad un tratto. Come dire di no.
La domenica perfetta. Grigliata che impesta anche quelli distesi al sole trecento metri più in là. Neomelodica italiana e a una certa ora si inizia col reggaeton. Il volume non è un problema, è musica che piace a tutti. Viene tutta la famiglia, nessuno escluso. Non deve mancare niente: tavoli, sedie a sdraio, panche, gazebo (doppio), subwufer, frighi, pentole con la peperonata di zia cucinata alle sei della mattina stessa. E la carbonella. Olio abbronzante, culetti e brasiliane, bibite ghiacciate. Tattoo glamour e selfie stick. E tutto il mondo è paese.
Limonare. Limonare fino ad avere tutta la pelle arsa intorno alla bocca e una paralisi alla lingua. Vanno in grava a fare le cosacce, se sua madre la scopre ha finito di vivere. Federico è il suo primo ragazzo e Noemi non vuole fare la figura della scema: così ha detto a sua madre che sarebbe andata dalla Titti a studiare greco fino a tardi, invece stasera limona, fino a tardi. Si è messa il push-up così sembra che abbia le tette. Mentre lo pensa va in paranoia. E se lui poi le mette una mano proprio lì e scopre che tra i capezzoli e la mano ci sono tre centimetri di finzione? Cazzo frega, a quel punto si tirerà giù le mutande. Ha portato delle Lemon Soda e un sacchetto di patatine, ha tutto nella borsetta, ma si sente un po’ sfigata, forse Federico avrebbe preferito delle birre. Anche in questo caso si tirerà giù le mutande e non ci penseranno più.
Mentre aspetta la Noemi si ficca in bocca mezzo pacchetto di Daygum. Ora mastica una palla di gomma dalle dimensioni nettamente superiori a quelle del suo palato. Rischia di strozzarsi quando la vede arrivare, sputa la gomma gigante a terra e finge di farsi i cazzi suoi. Non deve sembrare che la stesse aspettando con ansia. Cazzo quanto è figa, ha le tette più belle che abbia mai visto, sebbene non le abbia ancora esattamente viste. Ma le vedrà, prima o poi le vedrà. Eccome che le vedrà. Ora l’alito dovrebbe essere accettabile, fa una conchetta con la mano e ci soffia dentro. Annusa e impreca, merda, sa ancora di aglio. Tette, ormai non pensa ad altro.
S’erano portati il sacchetto per raccogliere i rifiuti prima di andare via, perché sono brava gente, mica come a Napoli. Ma poi, tra una cosa e l’altra, hanno portato via i rifiuti e si sono dimenticati il sacchetto. Capita.
Una sana alimentazione e uno stile di vita attivo, corsetta serale di cinquanta minuti per otto chilometri per una velocità di nove chilometri orari, rigorosamente misurati da Apple Watch nuovo di stecca. Dati certi, mica fuffa. Ora con Runtastic posta tutto sui suoi social, l’healthy lifestyle è contagioso, si tratta di fare del bene all’umanità. E che sete accidenti, con tutto quello che ha sudato si berrebbe d’un fiato le cascate di Iguazú. Secca la bottiglietta d’acqua povera di sodio fino all’ultima goccia. Ora casa, doccia flash e aperitivo lungo. La vita è breve, size the day e hashtag healthy life.
Si siede e aspetta, Lucia. O Lucio, non s’è mai capito. Ci va solo all’imbrunire in estate, posizionandosi in maniera tattica in un angoletto tra i rovi e la stradina di ghiaia, dove le macchine passano di rado a quell’ora, se non per imbattersi in proibite perversioni di vita parallela. Seduta sulla sua seggiola in plastica nera, il rossetto sgargiante che esula dai contorni della bocca, il vestito corto, ma non troppo, che rivela due gambe vissute e aperte alla promiscuità sessuale, attende. Finchè non cade. All’indietro. S’è spezzata una gamba della sedia in plastica nera e Lucia, o Lucio, si ritrova sdraiata a gambe all’aria (senza che nessuno gliel’abbia chiesto). Ci rimane talmente male che s’alza e se ne va, rinuncia alla sua serata di conquiste amorose non-profit. Le (o gli) è passata la voglia.
Mamma. Uomo che non è papà. Chi è? Parlano, camminano, io dietro. Barcollo, ho imparato a camminare, neanche troppo bene, qualche settimana fa. Mamma? Mamma, sete! Si adesso andiamo a casa a prendere l’acqua, fai la brava. Tocco tutto, metto le mani per terra, scopro, tocco, tocco, tocco. Mamma? Non mi guarda. Parla con quello li, di cosa non lo so. Mi guarda solo con la coda dell’occhio, ogni tanto, per controllare che non mi allontani. Foglie. Belle. Metto in bocca le foglie. Mangio le foglie. Che schifo le foglie. Sofia, cristo santo, non toccare! Cacca! Non si mette in bocca. Mamma arrabbiata. Ma parla ancora con quello li, bisbigliano. Si dicono i segreti. Tocco tutto. Foglie, sassi. Bottiglia. Bottiglia? Prendo in mano bottiglia. Sofia che schifo, metti giù! Me la toglie dalle mani. Mamma arrabbiata. Piango. Mentre piango sento pipì calda nel Pampers. Piango ancora un po’. Sofia smettila, dai che ora andiamo, io ho finito con questo stronzo che non è tuo padre e che non so nemmeno cosa ci faccio qui con lui. Foglie, mangio ancora foglie. E anche un sasso.
Fotografie: Paolo Burato | Didascalie: Eleonora Boscariol