Migrant story telling #02
di Valentina Avoledo
Parliamo di migranti. Il lessico si è ingentilito, si stanno estinguendo parole come “clandestino” o “vu cumprà” (troppo anni 90) ma le intenzioni sono peggiorate. Da qualsiasi parte la si guardi “l’emergenza” è riuscita a cambiare la percezione dei fatti, dividendoci in due gruppi senza sfumature in cui si è o “buonisti” o “fascisti”, segno dell’enorme deficit descrittivo di un fenomeno pieno di variabili. Ogni giorno mi chiedo se “l’emergenza migranti” sia una prova di civiltà o una scusa per impoverire quelli che si sono rassegnati alla povertà, non la povertà dei mezzi e dei guadagni, ma la povertà del futuro “a uso transitorio” e a cedolare secca.
In fondo, ognuno ha il proprio progetto migratorio: vagare da un contratto a un altro, mettere via i soldi per l’intercontinentale, imparare l’inglese, prendere lezioni di tango, partire per l’Erasmus, mangiare sushi, comprare una tenda e uno zaino da trekking, eccetera. Nessuno di questi progetti prevede la morte o la fuga da una città in guerra. Già questo sarebbe sufficiente per provare un accenno di comprensione verso chi è costretto a farlo. La questione è talmente sfaccettata che non mi sento di spenderci le trite parole che tutti osano, credo sia sufficiente ricordare come la gran parte degli interessi delle nazioni sia concentrato sul potenziale economico dei cosiddetti “paesi in via di sviluppo” e molto meno sullo sviluppo umano dei suoi abitanti. Come se il causa-effetto che regola il mondo intero non valesse per l’equazione: impoverimento = fuga.
Al di là delle analisi economiche, geopolitiche e sociali, rivendico il diritto allo sdegno verso l’indifferenza e l’ignoranza che gravita intorno all’idea comune sui migranti.
Io li conosco, li conosco personalmente. Mi occupo di insegnare loro l’italiano, lo faccio da qualche anno. Ho conosciuto diverse decine di richiedenti asilo, asiatici e africani, perlopiù uomini, per la maggior parte musulmani. Cercherò di raccontare chi sono i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati politici, nella speranza che possano avere una voce, o magari solo un ritratto scritto. Per proteggere la loro identità chiamerò i maschi Mhm1, Mhm2 eccetera (Mhm sta per Muhammad) e Ftm1, Ftm2… (Fatima) le donne.
Mhm #02
Mhm2, come molti altri pakistani, ha provato ad ottenere i documenti in Inghilterra, madre patria del colonialismo occidentale. A Londra lavorava in un fast food, ha preso la patente, ha convissuto con una ragazza di origini libanesi e dopo sei anni sans papier è stato obbligato a lasciare l’isola. Mhm2 viene da una famiglia agiata e progressista, lui e la sorella hanno studiato all’università, il padre ha aperto una scuola per ragazze e da quel momento sono cominciati i problemi. Mal visti in paese, minacciati dalle fazioni fondamentaliste, la famiglia di Mhm2 ha chiuso la scuola, venduto la casa e si è stabilita in un’altra regione da alcuni parenti.
Mhm2 allora, è partito per l’Europa, perché se hai ricevuto il privilegio dell’istruzione è difficile accettare il controllo ideologico e morale, a priori, da parte di un’autoproclamata autorità religiosa. E’ arrivato in Italia nel 2016, ha imparato l’italiano e si è iscritto in palestra. L’attesa dei documenti è una specie di vita interrotta, le giornate ristagnano tra letto, cucina e scuola. Il lettore si chiederà perché mai mantenere uno straniero nelle comodità, perché promuovere l’inerzia, il progressivo abbandono fisico e spirituale. E’ vero che gli altri paesi europei scaricano gli indesiderati al confine, ma è anche vero che in Germania, Svezia e Francia, tutti sono messi nella condizione di poter lavorare. L’Italia invece, ha dotato i migranti (alcuni, random) di un codice fiscale solo numerico con lo stesso valore legale della tessera della Pam. I permessi di soggiorno vengono rinnovati dopo settimane dalla scadenza, bisogna aspettare almeno un anno per ricevere la convocazione alle commissioni territoriali per definire il diritto di asilo. Nel frattempo si vive l’eterno participio presente di “richiedente” senza la possibilità di poter lavorare con contratto.
Mhm2 si iscrive in palestra per non lasciarsi andare. E nella palestra che propone abbordabili abbonamenti a 29,90 euro al mese, Mhm2 conosce Elisa, i due si innamorano e vogliono sposarsi. Mhm2 però, vuole prima ottenere i documenti per non strumentalizzare la sua storia d’amore e usare la scorciatoia della cittadinanza per matrimonio. Mhm2 trova lavoro in un panificio, il suo turno comincia alle tre di mattina, va a lavorare in bicicletta. I primi tempi sono difficili, comincia con uno stage e deve imparare un lavoro duro non solo per gli orari. Sa di aver ricevuto una chance e i suoi datori di lavoro gli danno fiducia, ottiene un contratto; la Commissione per il diritto di asilo dà parere positivo, Mhm2 ha i documenti e sposa Elisa. Il prosieguo del matrimonio è un’incognita come per tutte le unioni, forse c’è da rallegrarsi se Mhm2 ha concluso il suo processo di “inclusione” e se il nostro pane è impastato da uno straniero laureato.